La rivista musicale "Performing Musician" ha pubblicato nel numero di dicembre una lunga intervista a Brian May. Il chitarrista ha ripercorso la sua carriera nei Queen, dilungandosi sia su episodi del passato che sui progetti attuali relativi alla collaborazione con Paul Rodgers, il nuovo album e il tour da poco concluso. Attraverso le parole di Brian abbiamo la possibilità di rivivere le emozioni di un'avventura musicale unica e straordinaria.
Lo spettacolo deve andare avanti per i Queen, che hanno ignorato i dubbi e il cinismo e si sono uniti a Paul Rodgers per un nuovo album e un tour mondiale. In questa intervista esclusiva Brian May racconta le origini della band, il nuovo album e cosa avrebbe fatto Freddie Mercury.
Il duraturo legame tra i Queen e la musica è qualcosa che Brian May non sa spiegare. Dopo la tragica scomparsa del loro leader nel 1991, nessuno poteva prevede cosa sarebbe successo dopo. I tre membri superstiti misero assieme l'ultimo materiale di Freddie Mercury e diedero alle stampe il quindicesimo album dei Queen, Made in Heaven, datato 1995, che vendette in tutto il mondo l'incredibile numero di 20 milioni di copie, diventando il disco più venduto della loro carriera.
Oggi sono tornati con un nuovo cantante, Paul Rodgers, fondatore negli anni '70 dei Free e poi dei Bad Company. Erano in tanti a pensare che mettersi nei panni di Freddie Mercury sarebbe stato troppo difficile, ma la band ha aggirato questo aspetto certamente non di poco conto specificando che si tratta dei Queen e Paul Rodgers e che quest'ultimo non è il sostituto di Freddie. Così alla fine si sono presentati come Queen+Paul Rodgers, che esprime esattamente ciò che in effetti sono.
L'intervista che segue ci è stata rilasciata da Brian May nella sua casa del Surray poco dopo la conclusione delle fasi di missaggio di The Cosmos Rocks.
Magazine cover - per gentile concessione di www.queencuttings.com
PM: Quando avvenne la trasformazione degli Smile nei Queen?
BM: Gli Smile si sciolsero perchè Tim si sentiva davvero frustrato e decise di lasciare il gruppo. Io e Roger ci sentimmo sfiduciati perché avevamo fatto un disco finito nella spazzatura e avevamo un manager che non ci aveva fatto vedere nemmeno un soldo. Ma a quel punto Freddie disse: "No, non dovete arrendervi, e io sarò il vostro cantante". E noi rispondemmo: "Oh, va bene!?" (ride).
PM: Ci puoi parlare della prima volta che suonaste assieme?
BM: Suonammo per la prima volta all'Imperial College, in un teatro per la lettura e Roger portò con se un suo amico, Mike Gross, che suonava il basso con un enorme quantità di apparecchiature. Freddie si presentò con un pò di idee per delle canzoni, noi stessi avevamo un paio di idee per dei brani, così ci ritrovammo subito ad avere del materiale nostro da provare, a parte "Jailhouse Rock" e "Big Spender", due cover che ci divertiva suonare. Provammo diversi bassisti ma con nessuno riuscivamo a trovare la giusta armonia. Incontrammo John Deacon attorno al 1972; facemmo delle prove assieme e non appena John iniziò a suonare fu vera magia. Mi sento di dire che i Queen che conosci e che ami nacquero con l'ingresso di John nella band. Fu l'ultimo mattone messo al posto giusto.
PM: Quanto tempo impiegaste a provare le nuove canzoni e il vostro sound prima di incidere il vostro primo disco nel 1973?
BM: Fu un periodo lungo e frustrante perchè presentavamo i nostri demo alle case discografiche che però ci dicevano: "Non male, ma tornate a trovarci tra un paio d'anni?". Poi andammo ai Trident Studios presso i quali trovammo un accordo per incidere i nostri pezzi. All'epoca ci sembrò una buona cosa, ma eravamo costretti a incidere solo nei buchi di tempo lasciati liberi da altri musicisti, perchè la Trident non volle investire molti soldi. Per cui realizzammo il nostro primo album in un terribile arco temporale molto frammentato.
PM: Quanto è stata grande l'influenza che Freddie Mercury ha dato alla band nell'approccio con il palco?
BM: Sotto l'influenza di Freddie iniziammo ad utilizzare le luci sul palco, una cosa che facevano in pochi all'epoca e iniziammo anche ad usare dei costumi, ben prima di diventare famosi. Eravamo molto "drammatici" sul palco. Prendevamo cose che accadevano nel glam rock, cose in stile Slade, ma ci dicevamo: "A che punto siamo arrivati? Non abbiamo concerti programmati, non conosciamo nessuno?" Ci sentivamo scoraggiati e davvero ai margini, ma nonostante questo abbiamo lavorato duramente.
PM: Come siete poi approdati alla EMI?
BM: Sottoponemmo alla EMI alcune nostre canzoni che avevamo risuonato ai Trident Studios e per fortuna piacquero. Onestamente oggi rispetto al passato non c'è molta differenza, anche se penso che il mondo sia cambiato parecchio. Improvvisamente tutti ci volevano e accettammo la proposta di Peter Featherstone, il capo della EMI, che era alle Barbados o in qualche posto simile. Aveva ascoltato i nostri demo, così aveva spedito un telegramma con scritto: "Non fate nulla finchè non avrete prima parlato con me! Voglio questa band nella EMI. Così firmammo per la EMI qui in Inghilterra e con la Elektra per l'America.
PM: Fin dall?inizio il sound dei Queen è stato totalmente diverso da quello di qualsiasi altra band. Eravate coscienti di queste differenze?
BM: Ci accusavano di avere un sound che prendeva qualcosa dai vari artisti del momento. Avevamo un bel pò di critiche in tal senso dalla stampa dell'epoca. Avevamo le nostre influenze, come tutti credo, ma penso fossimo anche diversi da chiunque altro, e avevamo una visione ben chiara di cosa volevamo essere e di come volessimo suonare. La nostra era una visione piuttosto strana, che inglobava un sound rock molto forte con le armonie e con una vasta gamma di emozioni e passioni, di luci e ombre. Mettevamo in musica ciò che avevamo in mente.
PM: Quali erano le vostre influenze maggiori?
BM: Amavamo gli Who, i Free e gli Yes e il primo album degli Spooky Tooth, a cui aggiungerei tutte le cose che ascoltavamo quando eravamo ragazzini, come il jazz tradizionale e la musica operistica. Era uno strano miscuglio di generi che poi abbiamo rielaborato assieme a nostro modo.
PM: Agl inizi della vostra carriera, quanto fu importante la convinzione che riponevate nei vostri mezzi?
BM: Enormemente importante, perchè agli inizi nessuno credeva in noi. Il credere reciprocamente in ognuno di noi è stata la colla che ci ha tenuto assieme e la forza che ci ha spinti ad andare avanti. Per qualche ragione avevamo in noi la cieca convinzione che stessimo facendo qualcosa mai visto e mai sentito prima. Ed è un pensiero incredibilmente arrogante per quattro ragazzi alle prime armi!>
PM: Cosa ricordi degli Smile, la band precedente ai Queen?
BM: Durante la scuola avevamo questa band semi professionista chiamata 1984, il cui cantante era Tim Staffell. Era un ragazzo davvero creativo, che suonava il basso e cantava. Quando mi iniziai a frequentare l'universita' abbandonai la periferia e mi avvicinai al centro di Londra. A quel punto io e Tim formammo gli Smile e iniziammo a scrivere materiale nostro. Pubblicai un annuncio perche' ci serviva un batterista e sapevamo esattamente con quali caratteristiche lo volessimo: un batterista nello stile di Kaith Moon, Ginger Baker o Mitch Mitchell. Roger rispose all'annuncio dicendo: "Si, posso farlo. Nessun problema".
PM: Quale fu la tua prima impressione quando vi incontraste?
BM: Avevo lavorato con diversi batteristi autodidatti e non mi era mai capitato di conoscerne uno che accordasse il suo strumento. Roger regolò la propria batteria nella stanza dedicata al corso di jazz dell'Imperial College: ci suonava sopra e poi faceva i suoi aggiustamenti. Pensai: "Ma che diavolo sta facendo?"Alla fine, quando terminò i suoi settaggi iniziò a suonare e cio' che venne fuori fu qualcosa di magico e unico.
PM: Cosa fece di cosi' diverso rispetto ad altri batteristi?
BM: Fece alcune rullate e altre cose che non avevo mai sentito prima da nessun altro batterista. Ha sempre avuto la capacita' di fare le cose giuste quando ci suoni assieme. Il suo stile ha qualcosa di unico. Ha questo suo modo di combinare il suono dei vari tamburi che in effetti modifica davvero il sound della batteria in un modo davvero unico.
PM: Capisti subito che tra voi c'era qualcosa di speciale?
BM: La magia scaturì non appena iniziammo a suonare ed era chiaro per entrambi. Il suono andava nella giusta direzione e nel tempo si è evoluto senza particolari discussioni. Riesce a suonare come un disco appena messo sul piatto. Inoltre è sulla mia stessa lunghezza d'onda e ci piacciono le stesse cose, come Hendrix e i Beatles.
PM: Si puo' dire che gia' all'inizio si poteva sentire il tipico sound dei Queen, sviluppatosi poi successivamente?
BM: In parte si, ma ovviamente gli elementi mancanti vennero dopo. Freddie e Tim studiavano assieme al corso di grafica e design all'Ealing Tech. Freddie veniva spesso ai nostri concerti, ci parlava e ci dava le sue opinioni ma era anche molto timido. Alla fine di un concerto veniva da noi e ci diceva: "Ok, è stato proprio bello...ma non potete vestirvi a quel modo. E poi perchè non comunicate con il pubblico?" Un giorno lo andammo ad ascoltare con il suo gruppo e in quei giorni correva con un'enorme velocità. Era duro stargli dietro. Era in costante ebollizione e faceva un gran casino e noi non capivamo perche' lo facesse (ride).
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PM: Eri cosciente di avere un sound con la tua chitarra davvero unico?
BM: Ho sempre avuto ben chiaro in mente il tipo di suono che volevo ricavare dal mio strumento. Volevo che fosse simile ad una vera e propria voce, in stile James Burton ma più folle. Volevo che riuscisse ad esprimere vocali e consonanti, che riuscisse a parlare come la chitarra di Jimy Hendrix, di Rory Gallagher o di Eric Clapton. Ho sempre avuto come punto di riferimento Rory Gallagher, che peraltro è anche un autentico gentiluomo. Di solito andavomo a sentirlo suonare al Marquee tutte le settimane e talvolta capitava che si fermasse con noi a parlare. Lui era davvero una stella di prima grandezza, ma era una persona profondamente modesta. Mi ricordo che una volta gli domandai: "Come riesce a far cantare la tua chitarra?" E lui mi rispose: "Sai Brian, è merito degli amplificatori AC30".
PM: Che cosa davano in più al tuo sound questi amplificatori?
BM: Il loro segreto è che riescono a mantenere intatte delle note senza distorcere il suono. Quando provai a suonare la chitarra collegata a un VOX AC30 in un negozio, il sound era fatto!
PM: Un sound che non avevi mai sentito prima di allora perchè nessuno l'aveva mai provato?
BM: Penso di no. Siamo stati molto fortunati sotto tanti aspetti, ma per conquistarti la fortuna devi anche lavorarci su, per poterla afferrare quando arriva.
PM: Siete stati l'unica band in cui tutti e quattro i componenti hanno composto canzoni di successo. Quanta competizione c'era tra voi quando era il momento di incidere i pezzi per un disco?
BM: Eravamo ferocemente competitivi e questa è stata una cosa che ha giovato alla nostra creatività e ci ha portato del bene. Dovevi lottare duramente per vedere una tua canzone inserita su un disco. Se devo essere onesto non siamo stati sempre costruttivi nei giudizi che ci davamo reciprocamente. Se usciva un disco e la critica lo giudicava male per noi non era un grosso problema, perche? durante il processo creativo ci eravamo già detti di peggio. Su ogni brano abbiamo sempre lavorato molto, smontando e ricostruendo le varie parti, per cui eravamo consapevoli che il materiale che tiravamo fuori era comunque forte.
PM: Potresti quindi affermare che i Queen lavoravano in base ad una formula?
BM: La cosa interessante è che non abbiamo mai trovato una formula e non siamo mai entrati in studio a lavorare a un disco nello stesso modo utilizzato per un lavoro precedente. Penso sia stata una delle chiavi del nostro successo. Sceglievamo deliberatamente una vita per creare in modo sempre diverso.
PM: Hai registrato molte canzoni dal vivo in studio?
BM: Eravamo soliti registrare molto materiale live in studio per i nostri dischi e impiegavamo almeno tre mesi per completare un disco in questo modo. Alla fine facevamo una selezione tra i brani incisi, anche se poi lavoravamo su alcuni pezzi in particolare già durante la fase di registrazione.>
PM: E? vero che non hai mai realizzato che Freddie fosse gay?
BM: Non mi è mai capitato di scoprirlo. Stai parlando con qualcuno che ha condiviso la stessa stanza con Freddie durante i nostri primi tour. Ho conosciuto alcune delle sue ragazze e lui certamente non aveva un ragazzo in quei giorni. Ricordo che durante un'intervista gli fu fatta la domanda se fosse gay e lui rispose: "Si tesoro, sono gay come una giunchiglia". Freddie non si faceva questi problemi. Lui amava la musica, il suo lavoro e non ha mai voluto che nulla si intromettesse in questo. Chiunque dipinga Freddie puramente come un gay, tralascia parte della storia.
PM: Pensi che, col senno di poi, il suo stile di vita edonistico abbia in qualche modo offuscato la sua musica?
BM: Si, c'è un pò di incomprensione attorno a Freddie, perchè fu un grande amante della vita. In proposito ho scritto un epitaffio per lui che dice: "Amante della vita, cantante di canzoni". Amava tutto pienamente e penso che la musica fosse ciò che gli dava più gioia. Lui aveva la capacità di pensare "Ho solo una vita e voglio viverla appieno". Era uno spirito libero e ha vissuto nel modo che voleva.
PM: I Queen sono state tra le band più selvagge degli anno '70, ma tu non hai mai avuto a che fare con le droghe, giusto?
BM: Non ne ho mai sentito il bisogno, perchè non ho mai amato perdere il controllo. Probabilmente ho solo provato del fumo passivo (ride)!>
PM: Qual è secondo te il disco dei Queen che ha retto meglio il passaggio del tempo?
BM: Sono stati tutti importanti per il nostro sviluppo. Uno dei miei preferiti resterà sempre "Queen II", perchè fu un grosso salto in avanti all'epoca. In quel disco riuscimmo a concretizzare tutto quanto volevamo e avevamo tempo e soldi per poterlo fare al meglio. Le armonie vocali e chitarristiche sono nate proprio con "Queen II". In termini commerciali non vendette molto, perchè era un disco complicato e difficile da far circolare, cosa che poi ci spinse a fare in un modo molto più semplice il disco successivo, "Sheer Heart Attack". Molte persone guardano a questo disco come a una sorta di rock sul quale erano costruite diverse cose. "A Night At The Opera" fu una costruzione perfetta, nella quale tutti abbiamo dato il nostro contributo. Musicalmente fu un enorme passo in avanti. Tutto ciò che abbiamo fatto da "Queen II" in poi ci ha poi portato a incidere "A Night At The Opera".
PM: E tra gli ultimi album, invece, quale preferisci di piu?
BM: Ho sempre amato molto "Made in Heaven", perchè iniziammo a inciderlo con alcune cose lasciate da Freddie, cose nelle quali lui era enormemente vitale. Fu un vero atto d'amore mettere assieme tutto questo sentendo che Freddie aleggiava attorno a noi. In esso c'è anche un'incredibile quantità di devozione. Ma c'è anche una grande parte di serenità, perchè è questo il modo in cui ci Freddie ci ha lasciati. Mi piace anche "The Miracle", perchè è simile a un raggio di sole sul viso.
PM: Quali sono i tuoi ricordi della vostra esibizione al "Live Aid"?
BM: Abbiamo avuto un incontro con Bob Geldof che fu molto chiaro. Disse: "Suonate i vostri fottuti successi. Questo concerto è un jukebox globale". Così scegliemmo i nostri maggiori successi e li mettemmo assieme, adattandone la durata ai minuti concessi per l'esibizione.
PM: E' vero che per quell'esibizione di appena 17 minuti provaste per ben 2 settimane?
BM: Eravamo molto concentrati per quel progetto e credo che provammo per un paio di settimane. Volevamo sfruttare ogni singolo secondo che ci era concesso di stare sul palco. Ricordo che guardavo tutte quelle mani alzate e realizzai che non si trattava del nostro pubblico, perchè molte delle persone presenti avevano acquistato il biglietto ben prima che la nostra partecipazione fosse annunciata. Una cosa che ci fece letteralmente rizzare i capelli.
PM: Perchè secondo te la musica dei Queen è riuscita a ispirare questa sorta di spirito comune con le nuove generazioni di fans?
BM: Mi stupisco sempre nel trovare così tanti giovani ai nostri concerti e al nostro musical. Ricevo lettere da ragazzi giovanissimi che comprendono perfettamente da dove veniamo. Per qualche ragione la nostra musica riesce a connettersi con persone dotate di un particolare livello umano e spirituale, che attraversa le generazioni. Una cosa davvero fortunata, se vogliamo chiamarla fortuna.>
PM: Hai appena finito le fasi di missaggio del vostro nuovo album, "The Cosmos Rocks". Trovi difficile capire quando un album è pronto?
BM: Arrivati a questo punto voglio solo ascoltarlo e lasciarmelo alle spalle. Ieri ho concluso le ultime fasi di mixaggio e masterizzazione ed è stato meraviglioso ma anche terribile doverlo lasciar andare. Le ultime fasi di lavoro sono sempre molto stressanti, perchè molte delle decisioni più difficili vanno prese alla fine. Ci ha preso circa due anni di tempo, a fasi alterne. Ci siamo presi diverse sessions di registrazione, di cui l'ultima è durata tre mesi e che mi ha quasi ucciso.
PM: E' stato registrato in gran parte dal vivo in studio?
BM: Abbiamo preso la decisione di farlo live in studio si. Sono così pochi i dischi che oggi vengono incisi in questo modo, per cui ci siamo detti: "Sappiamo suonare e possiamo suonare. Facciamolo".
PM: In questi ultimi anni siete stati in tour con Paul Rodgers. Avete passato molto tempo a ragionare sull'idea di riportare in giro la macchina Queen?
BM: Non abbiamo mai pensato di farlo finchè non abbiamo incontrato Paul. Ci sono stati suggeriti un sacco di cantanti al posto di Freddie, ma noi non ne abbiamo mai voluto sapere nulla. Poi quando mi sono ritrovato a suonare con Paul durante una serata dedicata all'anniversario della Fender ho scoperto una grande alchimia tra di noi, che in se aveva una reminiscenza di quella che condividevamo con Freddie. Siamo sempre stati dei fans di Paul e amavamo i Free, forse Freddie più di tutti. Dopo quell'esibizione abbiamo avuto la possibilità di provare altre cose assieme, durante il UK Hall Of Fame del 2004. A quel punto il dato era tratto e ci dicemmo che la cosa funzionava.
PM: Avete dovuto fare degli aggiustamenti quando avete sentito Paul cantare i vostri vecchi successi?
BM: La grande cosa per me è stata sentire Paul interpretare canzoni come "We Are The Champions" in uno stile completamente diverso, tale da infondere al pezzo un significato nuovo. Da questo abbiamo capito che per noi non si trattava di una prosecuzione del passato, ma di qualcosa di nuovo.
PM: A questo punto credi che il progetto possa andare anche oltre il nuovo album?
BM: Penso che dobbiamo vederla in questi termini. La gente ci chiede se si tratta di un matrimonio, ma non lo è. Si tratta di un dannato buon affare (ride)! Sicuramente è una cosa divertente e all'inizio, per questo tour, faremo del materiale nuovo, il che mette un pò di luce diversa sulle cose.
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PM: E' essenziale per te che "The Cosmos Rocks" sia considerato come il prossimo disco dei Queen?
BM: Posso dire che per realizzarlo è stato adottato lo stesso criterio. Rappresenta la ricerca dell'eccellenza e il seguire un sogno. Quando io e Roger suoniamo assieme il suono che ne esce fuori è quello dei Queen. Quello spirito e con noi e non facciamo nulla di cosciente per suonare in quel certo modo. Suoniamo come sappiamo fare, mettendoci cuore e anima. Sentiamo Freddie attorno a noi in molti modi. Ci riferiamo a lui e sento che è parte di ogni cosa.
PM: Pensi che lui vi stia osservando da lassù?
BM: Penso che lui sia con noi nel senso che abbiamo lavorato così strettamente, condividendo i nostri sogni e lo spirito creativo che ormai è impossibile fare musica senza che lui ci possa influenzare. Abbiamo dedicato per questo il nuovo album sia a lui che a Paul Kossoff.
PM: Perchè Paul è un cantante così speciale?
BM: E' un cantante speciale sotto molti punti di vista, nel suo tono, nella sua estensione vocale e nelle sue qualità interpretative. Non canta linee melodiche piatte e se Roger o io gli sottoponiamo una nuova melodia, questa diventa qualcosa di diverso nella sua bocca. Paul canta davvero col cuore e non canta finchè non sente suo ciò che deve interpretare. Canta come nessun altro e ho lavorato con parecchi cantanti quindi posso dirlo.
PM: Alcuni anni fa avete collaborato anche con i Five, giusto?
BM: Non mi sento imbarazzato rispetto a certe cose. Il loro meraviglioso produttore, Biff Stannard, venne da noi e ci disse: "Guardate, noi vogliamo fare questa cosa. Diteci se odiate l'idea o se, piuttosto, vorreste aiutarci". Avevano avuto un'idea interessante e mi è piaciuto la parte rap che hanno realizzato. Ho imparato a non snobbare niente quando eravamo in tour con gruppi come i Middle Of The Road o i Chicory Tip e noi non eravamo nessuno. Ho scoperto che sono ottime persone, che lavorano duramente e io mi sento uno di loro. La musica è musica e se la gente fa questo con passione ed onestà io sono dalla loro parte.
PM: Quali sono le maggiori differenze che hai riscontrato tra Freddie e Paul dal punto di vista della performance dal vivo?
BM: Ritmicamente sono molto differenti, perchè Paul interpreta sempre il ritmo seguendo la melodia. Freddie era istintivo e il suo stile al pianoforte ribadiva il ritmo. Il suo modo di cantare era lo stesso: era simile ad una pistola. Per Paul abbiamo invece bisogno di individuare la base giusta di cui ha bisogno. Ma abbiamo imparato a stargli dietro e lui si è avvicinato al nostro stile, in modo tale che alla fine ci siamo incontrati a metà strada. Freddie era incredibile, un autentico maestro che arrivava sempre con qualche idea, senza però mai essere egoista e dava sempre il meglio come performer. Faceva degli esercizi per essere pronto a improvvisare e per presentarsi sciolto sul palco, evitando il rischio di non essere in sintonia con le persone con cui suonava. Era meraviglioso quando ci coinvolgeva in qualsiasi cosa desiderasse che facessimo, riuscendo al contempo ad essere comunicativo con il pubblico. Era un performer e un frontman, e il frontman è il canale attraverso cui viene convogliata l'energia che connette la band con il pubblico. Freddie in questo era perfetto.
PM: Era complicato coordinarsi sul palco?
BM: Con Freddie non avevo bisogno di sapere dove fosse sul palco. L'ho sempre saputo istintivamente. Mentre con Paul ho dovuto imparare di nuovo tutto dal principio, perchè i suoi istinti sono diversi ed è diverso il suo modo di lavorare. Nell'ultimo tour sia io che Paul siamo finiti dentro un buco del palco a causa della mancanza di consapevolezza dei nostri rispettivi spazi. Ma lo abbiamo imparato in fretta (ride)!
PM: Come ti regoli per stabilire se ciò che fate può calpestare o meno il lascito musicale dei Queen?
BM: Dentro di me sono bene cosa sia l'integrità e cosa non lo è. Sono stato uno dei creatori di questa cosa fin dal principio e ho le idee ben chiare su cosa è buono per il nostro sviluppo e di che cosa sia appropriato rispetto al lascito di Freddie. Allo stato attuale amo l'idea di suonare le sue canzoni reintepretandole e so che lo avrebbe amato anche lui, perchè ha sempre considerato la sua musica come qualcosa di vivo, da portare in posti nuovi.
PM: Ma devi esserti preoccupato non poco sapendo che molti fan si sarebbe domandato cosa diavolo stessi facendo prendendo un nuovo front man??
BM: Si, ok. Me ne sono preoccupato abbastanza non per andare avanti con questa cosa per dieci anni o come avveniva in passato prima di incontrare Paul. Ero felice anche di suonare al di fuori dei Queen, ma quando questa cosa è successa con Paul non ho avuto dubbi, perchè puoi solo seguire il tuo sentimento viscerale. Ci siamo sempre mossi in linea con il nostro istinto e il mio istinto mi ha detto che fare questo disco era una cosa buona da realizzare, e allo stesso modo l'ha pensata Roger. E, credimi, ci sono alcune cose sulle quali io e Roger siamo d'accordo. Entrambi abbiamo sentito che era giusto lavorare con Paul e sappiamo che se Freddie fosse qui sarebbe d'accordo anche lui.>
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