Da giorni il pensiero si è fatto fisso, tra poche ore saremo ospiti della Sala A dei “Metropolis Studios” di Londra, il luogo in cui tra il novembre 1989 e il dicembre 1990 è stato registrato l'album “Innuendo”, l’ultimo capolavoro dei Queen. E in questa esperienza saremo in compagnia dei due ingegneri del suono presenti in quei giorni lontani ma non troppo, gli assistenti di studio del compianto David Richards. Si tratta di un'occasione unica per insinuarci tra le bobine ricolme delle registrazioni che hanno condotto a uno dei dischi fondamentali della band.

Il programma è semplice: partenza giovane da Castiglione D/S in direzione Linate alle ore 3,30 e volo per Gatwick all’alba. Arrivo a Londra Victoria Station per le 8,00, sfruttando l’ora legale. Il piano riesce alla perfezione e a questo punto ci separano dall'evento ben sette ore.

Decidiamo dunque di entrare nel mood adatto facendo tappa presso i birrifici artigianali di Southbank. Nel programma è compresa una sfiziosa degustazione da “Brew By Numbers”, il birrificio di Logan Plant, figlio di Robert.

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Al termine di una serie infinita di birre ale, una lunga corsa su tradizionale cab nero ci conduce in una elegante zona di Fulham, la sede degli studi. Siamo in perfetto orario per il pomeriggio-master di approfondimenti su “Innuendo” alla presenza di chi lo ha creato assieme alla band.
L'esterno dello studio è elegante e maestoso. Subito ci tornano alla mente le immagini dei videoclip in vhs che abbiamo consumato negli anni novanta. Essere lì davanti ci riempie di gioia. 
Ci dirigiamo verso la scalinata d'ingresso ed entriamo nell'edificio attraverso l'ampia vetrata. Alla reception ci accolgono in vero stile british e ci accompagnano al piano superiore. 
Percorrendo la scala in ferro della hall, quella su cui Brian suona l’assolo nel video di “Headlong”, giungiamo al “Mercury Bar”, l’elegante lounge dove camerieri solerti ci offrono mignon personalizzate di “Moet & Chandon”. 
Fin qui non è affatto male: facciamo due passi e ci godiamo, appesi alle pareti, alcuni scatti inediti dei Queen dal vivo. A questo punto il “Chief” degli Studios dedica ai partecipanti un piccolo discorso di benvenuto, sottolineando come: “I Metropolis non sono studi-museo come quelli di Abbey Road” e nell’ultimo quinquennio: “Sono stati incisi, in queste diciannove sale, l’80% dei numeri uno delle Charts inglesi e la metà di quelli delle Charts americane.” 
Lo studio è recente, fondato nel 1989, di fatto inaugurato dai Queen ed è, senza falsa modestia, uno dei tre migliori studi di registrazione al mondo: tutti sono stati qui, dagli U2 a Lady Gaga, da Adele a Michael Jackson
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Bene. Si scende nello Studio A.
L'evento vuole essere unico e irripetibile, per questo, con gentile fermezza ci vengono sequestrati tutti gli apparecchi per registrare e fotografare. A questo punto l’incontro può avere inizio, ci tremano le gambe.
Entriamo e l'impatto è fortissimo. Riconosciamo ogni cosa: il banco mixer, l'arredamento, la vetrata che guarda alla sala con il pianoforte Stainway. Pianoforte che, giusto per non alimentare false leggende, non è quello di Freddie. In realtà, fu richiesto da Freddie ai tempi delle incisioni ma non lo suonò mai.
Prendiamo posto e troviamo seduti al banco-mixer Justin Shirley-Smith (ingegnere del suono degli studi di Montreux) e Noel Harris (assistente di Dave Richards fin dai tempi di “A Kind of Magic” e fonico-resident dei Metropolis). La prima cosa che ci spiegano è che “Innuendo” è stato inciso in buona parte proprio dove siamo seduti e in parte minore ai “Mountain Studios” dove Freddie si rifugiava in alcuni periodi per sfuggire all’assalto dei paparazzi inglesi. Per fare un esempio, la base della title-track è stata registrata nel grande salone del Casinò svizzero, mentre il resto del brano è stato inciso a Londra.
Una delle prime domande che poniamo è questa: “Perché due studi? C'erano esigenze diverse durante le fasi della lavorazione?”.
Ci risponde Justin, dicendo che entrambi gli studi erano predisposti per fare le stesse cose, la questione era solo logistica. Forse a Montreux era più facile registrare le batterie, per via della grande sala, ma la realtà dei fatti è che entrambi gli studi erano sempre allestiti per permettere alla band di registrare in qualunque momento.
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L'album “Innuendo” è “depositato” su bobine digitali a 48 (24+24) tracce della larghezza di due pollici: si tratta dei supporti utilizzati prima dell'avvento del digitale e sono le famose “cassette” che danno il titolo al seminario.

Greg Brooks, storico archivista della band seduto tra il pubblico, ci informa che ne esistono 71, tutte annotate e utilizzate in buona parte per i mix finali.

Sostanzialmente, i due ragazzi al mixer hanno riversato in digitale una robusta selezione di queste registrazioni al fine di poterle riaprire sul banco mixer.

Lo stesso banco su cui i pezzi sono nati e originariamente registrati e mixati. In questo modo, per i partecipanti è possibile ascoltare il progresso di alcuni brani, isolare le singole tracce che compongono i vari pezzi, togliere da queste i vari effetti di post-produzione e anche sentire ciò che non è stato inserito nei mix finali.

In poche parole, capire il metodo di lavoro e registrazione della band.

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Nel 1990, così come per le sessioni del precedente “The Miracle”, i Queen erano soliti lasciare tutti gli strumenti sempre settati e microfonati per qualsiasi evenienza, quindi molti brani sono frutto di improvvisazioni dal vivo e successive prove (tutte registrate) volte a migliorare strutture, accordi e arrangiamenti.
Ecco quindi uscire dagli altoparlanti le primissime registrazioni della versione embrionale della title-track “Innuendo”, con linea vocale di Roger molto alla Led Zeppelin e la batteria senza l’andamento “bolero” che viene suggerito solo in un secondo momento da Freddie, il quale suona tutte le parti di tastiera, comprese quelle orchestrali del bridge centrale, con una Roland M1. Proprio l'andamento da marcia rappresenta l'elemento grazie a cui la band intuisce il potenziale di svolta del brano.
L’adattamento al pezzo non è semplice e Brian cerca e sbaglia gli accordi per diverso tempo fino a trovare la successione che finirà nel mix finale. Per noi è una sensazione strana: davanti ai nostri occhi, o meglio, nelle nostre orecchie sta prendendo forma uno dei pezzi culto della band. In quei minuti viviamo sentimenti contrastanti: da un lato, siamo testimoni di tutta l'imperfezione di una band che suona live e non ha ancora un disegno chiaro davanti a sé.
Dall'altro, ci giungono gli sprazzi di magia che, del tutto inaspettati, ci riportano alla mente la perfezione della versione definitiva. Tutti i microfoni sono aperti e sentiamo i quattro sfottersi e scherzare, con un Mercury… molto mercuriano, nonostante sia ormai minato nel fisico dalla sua fatale battaglia contro l’AIDS.
Esemplificativo l'epico ingresso di Freddie proprio in “Innuendo”, il famoso “Uhuuu Uhuuu”, che in uno dei take che abbiamo sentito è seguito da un “It's me, darling!” che trasforma quell'ingresso così rock in una sorta di buffissima telefonata che fa esplodere in una risata collettiva lo studio (sia nel 1991 che nel 2017).
Possiamo, alla luce di queste registrazioni, avere una certezza: i Queen erano musicisti superbi con un talento e un senso del tempo non comune: “Innuendo” (addirittura!) è stata registrata senza metronomo. Il conteggio di Fred a inizio brano è quello che dava il tempo a tutti, senza bisogno di altro! Nel mezzo delle sessioni è stato possibile anche capire molto bene il metodo di lavoro dei quattro: le basi venivano suonate insieme e poi venivano fatti in separata sede gli overdubs, le voci e i cori. Solo in alcuni casi esiste una struttura già definita da parte di un singolo e poi arricchita dal lavoro di gruppo su precise indicazioni. È il caso di “Slightly Mad”, dove Fred ha già in testa la linea di tutte le tastiere e delle voci, la batteria di base è una programmazione solo in parte risuonata da Roger.
Su questa base si innesta la linea portante di basso di John e il meraviglioso assolo di Brian, eseguito non con gli amati Vox AC-30 ma con alcuni pedali Zoom fatti entrare direttamente nel mixer. Il primissimo take è già molto orientato verso il risultato finale. Questo metodo di lavorazione ci spiega anche perché non esistano brani esclusi dall'album: tutte le idee venivano lavorate a livello di improvvisazione fino a un certo punto. Se lo spunto era buono la band lo approfondiva e, tassello dopo tassello, si arrivava alla versione definitiva.
Se lo spunto non convinceva, dopo qualche tentativo, si lasciava perdere.
Parlando di “The Show Must Go On” (a proposito, QUI qualche ricordo di Brian May)possiamo dire che le idee chitarristiche di Brian sono chiarissime fin dal principio. Nei suoi take si nota tutto il perfezionismo del nostro amato ricciolone. Il suono di chitarra è ottenuto dalla sovrapposizione di esecuzioni identiche (una decina!) poi equamente ripartite sui canali di destra e sinistra nel mix stereo.
Avere la possibilità di udire il risultato definitivo partendo da una singola traccia e poi sentire le altre tracce aggiunte, una alla volta, fino al risultato finale ci permette di avere delle sicurezze ulteriori: la prima, la precisione di Brian è disumana. La seconda, i Queen erano totalmente dediti alla loro musica e perfezionisti maniacali.
La conferma ci viene anche da una domanda fatta dal pubblico: “A che punto della giornata venivano eseguiti i montaggi dei vari take e i tagli?” La risposta di Harris è eloquente: “Quando gli altri tornavano a casa e non c'era nessuno in studio. Nessuno tranne Brian, ovviamente, che voleva sempre esserci per dire la sua”. Cambiando discorso, una piccola chicca per i filologi: chiediamo espressamente se “All God's People” fosse l'evoluzione del fantomatico brano “Africa by Night” risalente alle session di “Barcelona” e della cui effettiva esistenza si è molto discusso. Justin conferma che alcune parti delle sessioni dell'album solista di Freddie sono state utilizzate durante la lavorazione dell'album ma solo alcuni stralci che poi si sono evoluti e sono stati inglobati in altri spunti. Ci pare di aver capito, ma non possiamo esserne certi, che il bridge di “Innuendo” (“You can be anything you want to be”...) fosse uno di questi.
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Una delle richieste più in voga tra il pubblico è di poter ascoltare la parte chitarristica nel blocco centrale di “Innuendo”.

Dopo un po' di fatica, dovuta alla difficoltà di orientarsi tra i riversamenti delle bobine in digitale, Justin ci presenta la sessione delle chitarre isolate dal resto del brano. Qualcuno ricorderà che tra i credits sul retro di copertina, appare la frase: “Somewhere in the middle” riferita all'apporto di Steve Howe nel blocco “spanish”.

Ecco, abbiamo potuto ascoltare separatamente le varie parti che, a detta degli assistenti di studio, sono state suonate contemporaneamente dai due chitarristi. Possiamo confermare che Brian esegue il tema principale e Steve inserisce le note di controcanto che arricchiscono il momento musicale.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte a una parentesi di altissimo livello tecnico ma anche espressivo. Un vero gioiello nel gioiello.

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Più in là nel pomeriggio, risuonano negli altoparlanti le note di “Days of Our Lives” nelle versioni “early”, con le voci guida di Roger a suggerire un andamento del pezzo inaspettatamente molto diverso dall’esito conclusivo.
Ci rendiamo subito conto che avrebbe potuto essere un pezzo di “Happiness?”. Le batterie e le percussioni sono, ancora una volta, programmazioni della Roland M1 con l’aggiunta di qualche piatto e qualche colpo di rullante “suonato”.
Ovviamente, in tutti i pezzi l'evoluzione della musica va di pari passo con quella dei testi, così come abbiamo già assistito in tempi precedenti per “One Vision”.
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Molto interessante l’aspetto relativo ai take vocali.
Freddie ha inciso tutte le voci stando in piedi, al centro della sala mixer, cantando con un settaggio “live” che è stato riprodotto fedelmente durante l'incontro: una postazione senza cuffie e senza anti-pop, con l’amatissimo microfono Shure 565 su un'asta e due comunissime casse Yamaha per gli ascolti.
Una soluzione in teoria inadatta alle registrazioni di studio ma che, a detta di Noel, permetteva a Freddie la massima libertà espressiva. Si tratta in pratica dello stesso settaggio usato per le registrazioni di “Mother Love” e “A Winter's Tale”, con due differenze: nel 1991 Freddie è costretto a sedersi su uno sgabello e preferisce cantare con un microfono che può tenere in mano.
Tornando a “The Show Must Go On”, in fase di mix, alle voci in presa diretta è stato solo aggiunto un filo di riverbero e un compressore.
Chiediamo personalmente di poter sentire una traccia pulita, senza alcuna aggiunta di outboard: la pura voce di Freddie in uscita dalle casse è così piena e precisa da lasciare senza fiato. Fiato che, certamente, non mancava a Mercury, che sembrava non avesse mai bisogno di prendere un respiro, nemmeno per arrivare alle note più alte.
A detta dello stesso Harris era difficile dire a Freddie “Puoi farla meglio...” o “Questa non era il massimo...”. Non tanto per il suo carattere da prima donna, bensì perché molto spesso era lo stesso cantante a “buttare” dei take che per il team di lavoro erano già perfetti. Su questo punto sia Justin che Noel sono molto chiari: hanno lavorato con i grandi della musica ma Freddie dietro al microfono era una forza della natura tale che il loro ruolo in quel frangente era praticamente nullo: “Cosa potevi dire dopo un take come questo?” ci chiede Noel ad un certo punto mentre stiamo ascoltando un verso di “Headlong”.
Ascoltare la voce non trattata di Freddie uscire dalle casse è qualcosa che non si può descrivere a parole. Forse l'emozione più intensa della giornata.
Si capisce chiaramente che tutti i presenti vorrebbero rimanere lì per giorni.
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Capitolo nel capitolo, molto importante per la riconoscibilità della band: i cori.
Dopo anni di ascolti e ipotesi eravamo personalmente giunti ad un’idea molto precisa di come venissero eseguiti, e, per una volta, avevamo ragione. Brian, Roger e Fred, con Mercury sempre piazzato al centro dei tre, cantavano ogni singola nota tutti insieme, poi la raddoppiavano con un’esecuzione identica, quindi, con medesimo modus operandi, passavano a tutte le note dell’accordo dell’armonizzazione vocale e ad eventuali armonie secondarie e contrappunti, come le famose “cascate” che troviamo tra l’altro nell’ultima reprise di “Innuendo”.
Sarebbe bello venissero rilasciate le tracce separate dei cori centrali di “Slightly Mad” per avere un saggio sonoro del procedimento di incisione.
Ovviamente, anche in questo caso, è possibile seguire “l’architettura del 3+3”, data l’abitudine dei nostri a cantare ogni nota a tre voci per due volte, partendo da una singola esecuzione e sentirla crescere.
Le armonizzazioni sono centinaia, ma praticamente già perfette fin dai primi take: poterne seguire l’evoluzione è uno dei tanti regali del pomeriggio.
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Tra domande e curiosità - un piazzato tedescone chiede di sentire le tracce di basso in solo e abbiamo la conferma che John è un mostro di musicalità - e la presenza di alcuni pazzoidi che più pazzoidi non si può (un ragazzo si farà andata e ritorno da Mexico City in meno di 72 ore per assistere all’evento, un altro A/R da Buenos Aires in due giorni e mezzo) l'incontro si conclude con la visita a tutte le sale utilizzate dai Queen, sia per le incisioni che per le riprese del video di “Headlong”.
Una volta riposte le bobine in cassaforte ci è permesso di fotografare qualsiasi angolo dello studio e ci scappa anche qualche autografo. La visita alle sale si conclude con Noel che ci racconta di come Freddie arrivasse allo studio in auto dal parcheggio interno, in compagnia di Terry, il bodyguard-autista personale. Dall'auto alla sala in pochi passi, attraverso un passaggio privato al riparo dai fotografi, spesso appartati fuori dall'edificio. Freddie registrava finché non si sentiva stanco. A quel punto poteva risalire in auto velocemente e tornare a casa per riposarsi. Terry era sempre a disposizione e, a detta dei tecnici, sempre molto amorevole.
Nessuno fuori dallo Studio A sapeva se Freddie fosse o meno nell'edificio.
A volte arrivava e se ne andava senza farsi vedere da nessuno. Altre volte era il primo a proporre un pranzo fuori insieme ai ragazzi dello staff.
Continuando ad interloquire con Justin, Noel e Greg ci spostiamo di nuovo al “Mercury Bar” e la serata prosegue tra free drink e stuzzichini di gran classe. Vorremmo fare molte altre domande a Greg, il quale ha invece vuole molto carinamente sapere tutto delle nostre vite (comunque non temete, dice che negli archivi di sono ancora decine di ore di registrazioni interessantissime e che quindi, con scadenza annuale, metteremo ancora mano al portafogli!).
Ci è andata meglio con Harris che dispensa qualche chicca su come, incredibilmente, pur in assenza di un accordo scritto di confidenzialità, tutti agli Studios proteggessero con vari stratagemmi e molto amore la privacy di Freddie ormai malato, di come non lo abbiano mai sentito lamentarsi del dolore o della malattia, di come spesso cenassero tutti insieme nell’attiguo ristorante indiano discutendo delle registrazioni del giorno, di come a loro sembrasse pieno di energie e di senso dell'umorismo in ogni occasione.
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Anche le cose più belle finiscono, purtroppo.

Ma almeno si finisce in bellezza con l'estrazione di alcuni dischi autografati da Roger e di alcuni memorabilia. Noi siamo fiduciosi perché abbiamo il numero 39 ma per stavolta restiamo a mani vuote. O quasi.

Perché, dopo circa sette ore, lasciamo gli Studios. Ma prima di uscire, un'altra sorpresa: un sacchetto ricolmo di merchandising in omaggio a tutti i partecipanti. Un ultimo sguardo commosso all'arredamento e chi s'è visto, s'è visto.

Non prima di un'ultima birra offerta. Fuori è buio, ci lasciamo la grande porta alle spalle.

Nel corpo e nella testa la sensazione, ancora non svanita mentre scriviamo questo report, di aver vissuto un’esperienza unica, qualcosa di molto simile alla felicità.

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