La scomparsa di Freddie Mercury è stata sicuramente un durissimo colpo per tutti. Ma soprattutto per i membri della band, che hanno diviso con Freddie gli ultimi venti anni della propria vita.
Riviviamo quei momenti in questa intervista a Brian May, rilasciata dopo dopo il Freddie Mercury Tribute, dove il chitarrista dei Queen parla, con malcelata tristezza e nostalgia, del passato, del triste presente e dell'incerto futuro.

Il Freddie Mercury Tribute ha permesso la raccolta di una grande somma di denaro. Era vostra intenzione contribuire con il ricavato alla creazione di un fondo Anti Aids?

 

In verità il nostro obiettivo non era quello di raccogliere fondi, ma di celebrare piuttosto la vita di Freddie, di rendergli omaggio, contribuendo anche a una maggiore presa di conoscenza del problema AIDS. Non conosco ancora con precisione l'entità della somma raccolta, ma posso dire che la sola riedizione inglese di Bohemien Rhapsody ha fruttato più di due miliardi di lire, una cifra notevolmente superiore a quanto il governo inglese ha stanziato per promuovere la lotta all'AIDS.
Il concerto poi è stato particolarmente intendo: si poteva tagliare l'aria con un coltello tanto grandi erano la tristezza per la perdita di Freddie, ma anche la gioia di ritrovarsi insieme al pubblico con tutti quegli artisti.  Suonavo i miei assolo con le dita congelate dal freddo, pensando m*rda, che schifo di tonalità'.
La vecchia magia è proprio finita', perché ogni cantante voleva cantare nella propria tonalità e, un attimo dopo, 'chi diavolo c'è adesso in scaletta? Che strana serata.

 

Quale futuro per i Queen, ora che vengono meno le garanzie di successo planetario?

 

Pensavo che l'esperienza Queen fosse tutt'altro che conclusa e che quindi potessimo ritenerci tutti al sicuro, ma non è più cosi.
Vado fiero di ciò che i Queen hanno creato, ma ora è arrivato il momento di rischiare ed è strano doverlo fare a questo punto della mia vita.
Per quel che mi riguarda, senza Freddie i concerti sono fuori discussione: dovremmo quanto meno attendere un miracolo, che Freddie tornasse tra noi!
Anche se We Will Rock You significa moltissimo per me, perché fa parte ormai della tradizione popolare e la gente la canta alle partite di calcio, non mi basta.
Non mi vedo a cantare We Are The Champions senza Freddie.
Non so come altri abbiano risolto questo genere di problemi. Jimmy Page dei Led Zeppelin lascia che sia il pubblico a cantare Staiway to Heaven, cosa sempre efficace, ma non è il modo migliore di liberarsi dei fantasmi del passato.
Piuttosto, completeremo in sala d'incisione alcune basi realizzate dopo Innuendo. Fu lo stesso Freddie, ormai allo stremo, a insistere per cantarle in modo da lasciarci più materiale possibile.
Ma non è molto poiché all'epoca Freddie riusciva a lavorare tutt'al più un paio di ore alla settimana.
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La scomparsa di Freddie Mercury è stata sicuramente un durissimo colpo per tutti. Ma soprattutto per i membri della band, che hanno diviso con Freddie gli ultimi venti anni della propria vita.
Riviviamo quei momenti in questa intervista a Brian May, rilasciata dopo dopo il Freddie Mercury Tribute, dove il chitarrista dei Queen parla, con malcelata tristezza e nostalgia, del passato, del triste presente e dell'incerto futuro.

Il Freddie Mercury Tribute ha permesso la raccolta di una grande somma di denaro. Era vostra intenzione contribuire con il ricavato alla creazione di un fondo Anti Aids?

 

In verità il nostro obiettivo non era quello di raccogliere fondi, ma di celebrare piuttosto la vita di Freddie, di rendergli omaggio, contribuendo anche a una maggiore presa di conoscenza del problema AIDS. Non conosco ancora con precisione l'entità della somma raccolta, ma posso dire che la sola riedizione inglese di Bohemien Rhapsody ha fruttato più di due miliardi di lire, una cifra notevolmente superiore a quanto il governo inglese ha stanziato per promuovere la lotta all'AIDS.
Il concerto poi è stato particolarmente intendo: si poteva tagliare l'aria con un coltello tanto grandi erano la tristezza per la perdita di Freddie, ma anche la gioia di ritrovarsi insieme al pubblico con tutti quegli artisti.  Suonavo i miei assolo con le dita congelate dal freddo, pensando m*rda, che schifo di tonalità'.
La vecchia magia è proprio finita', perché ogni cantante voleva cantare nella propria tonalità e, un attimo dopo, 'chi diavolo c'è adesso in scaletta? Che strana serata.

 

Quale futuro per i Queen, ora che vengono meno le garanzie di successo planetario?

 

Pensavo che l'esperienza Queen fosse tutt'altro che conclusa e che quindi potessimo ritenerci tutti al sicuro, ma non è più cosi.
Vado fiero di ciò che i Queen hanno creato, ma ora è arrivato il momento di rischiare ed è strano doverlo fare a questo punto della mia vita.
Per quel che mi riguarda, senza Freddie i concerti sono fuori discussione: dovremmo quanto meno attendere un miracolo, che Freddie tornasse tra noi!
Anche se We Will Rock You significa moltissimo per me, perché fa parte ormai della tradizione popolare e la gente la canta alle partite di calcio, non mi basta.
Non mi vedo a cantare We Are The Champions senza Freddie.
Non so come altri abbiano risolto questo genere di problemi. Jimmy Page dei Led Zeppelin lascia che sia il pubblico a cantare Staiway to Heaven, cosa sempre efficace, ma non è il modo migliore di liberarsi dei fantasmi del passato.
Piuttosto, completeremo in sala d'incisione alcune basi realizzate dopo Innuendo. Fu lo stesso Freddie, ormai allo stremo, a insistere per cantarle in modo da lasciarci più materiale possibile.
Ma non è molto poiché all'epoca Freddie riusciva a lavorare tutt'al più un paio di ore alla settimana.
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E questo rock di mezza età, cosa ha da insegnare ancora e cosa invece deve imparare?

 

Oggi vedo Axl Rose rivoltare se stesso in scena come un guanto e sento che il rock può tornare davvero a essere ciò che dovrebbe sempre essere: un'espressione spontanea del proprio dolore e della propria passione.
La verità è che agli inizi non hai nulla da perdere e, invecchiando, hai solo rogne. Ricordi Peter Townshend, quand'era uno sgorbio incazzato che ogni sera demoliva chitarra e amplificatori? Oggi, pur non avendo perduto un'oncia del suo talento, è un tranquillo gentleman che lascia gli assolo a un altro chitarrista.
Ma il mezzo è eccellente per veicolare anche le esperienze della maturità, altrettanto intense e devastanti di quelle dell'adolescenza.
Si cresce con la falsa convinzione che la vita sia come la scuola, dove ad ogni problema corrispondevano una soluzione e un bel voto.
In realtà dovrebbe insegnarci che esistono problemi insolubili e che il vero lavoro da fare su noi stessi è imparare a convivere con i problemi. Stranamente, il rock è un ottimo mezzo per parlare di tutto questo, ed ecco perché Back To The Light mi pare più importante di gran parte di ciò che ho fatto con i Queen.
Molte canzoni erano personali, ma sempre troppo infarcite di showbiz. L'altro giorno ero nel mio giardino, in un raro momento di relax e ho ripensato ai versi di Joni Mitchell, "tornerei laggiù domani se non fosse per gli impegni che ho preso, per alimentare la fabbrica delle stelle dietro alla canzone popolare".
Mi sono detto: ma è esattamente quello che sto facendo io! E ti chiedi allora fino a che punto dovresti bruciare la tua vita e prostiturti pur di inseguire questo dannato sogno eppure senza di esso troverei difficile avere un'altra ragione di vita.

 

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Fino a che punto i rapporti personali all'interno dei Queen consentivano di condividere questo genere di problemi?

 

All'inizio eravamo entità separate. Poi, nel periodo che trascorremmo a Monaco, Freddie cominciò a vivere in un mondo molto diverso dal mio. Capimmo di avere gli stessi problemi, in situazioni non analoghe ma parallele. Fu strano scoprire che non eravamo capaci soltanto di scrivere canzoni insieme.
Ricordo il mio pudore nell'esporre agli altri il contenuto delle mie canzoni, ma verso la fine, specie con Innuendo, ci si intendeva senza nessuna spiegazione, una specie di segreta telepatia, incredibile se si considerano alcuni dei temi toccati, molto delicati.
Ma, tornando a Monaco, a The Game, eravamo felici di trovarci in una situazione totalmente nuova, con un nuovo tecnico e coproduttore.
A quel disco seguirono Hot Space e The Works e tutto gradualmente finì per degenerare: abbiamo sprecato un sacco di tempo, consumando troppo alcool, innamorandoci delle persone sbagliate, entrando in sala di notte e uscendo dal night club a giorno fatto, accumulando solo angoscia, altro che glamour.
Poi finalmente decidemmo di tornare a Londra e di ricominciare da capo, con The Miracle e Innuendo.
E' stato un viaggio incredibile, credimi, passato in un lampo, mentre noi pensavamo sempre che il meglio dovesse ancora venire.
Siamo stati viziati, ma abbiamo anche realizzato molti dei nostri sogni, divertendoci come pazzi perché avevamo il controllo assoluto del nostro mezzo.
Eravamo come bambini chiusi nella stanza dei giochi, e a volte mi piacerebbe ricordare meglio ciò che è successo.
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Tra i tanti ricordi sfocati, una sola immagine si staglia netta: quella del primo incontro con Freddie Mercury.
May sorride, lo sguardo basso.

 

 

Freddie era come un pavone in embrione! Il suo aspetto esteriore lo ossessionava e doveva essere sempre vestito e acconciato in maniera impeccabile. Aveva l'aria di chi era già una star e quando faceva le 'vasche' in Kensington Market aveva questa piccola frivola mania (this little pom-pom thing) di battere sulla spalla del primo che gli capitava a tiro, dicendogli "oh, colpito".
Ci diceva:"ieri ho visto Planty (Robert Plant)", al che noi: "E che ti ha detto?", e lui: "oh, niente, però l'ho visto!".
Gli Zeppelin erano il nostro mito e, poiché avevano già l'aspetto di una rock band prima di fare davvero i musicisti, la gente domandava sempre a Freddie: "Sei una rockstar?" e lui: "sicuro, siamo gli Zeppelin".
Quando qualcuno mi chiedeva se il successo avesse cambiato Freddie, io ho sempre risposto "per niente, è sempre stato così". Nella sua mente è sempre stato una star. Un'irripetibile star.

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